Secondo un recente studio, i pazienti con ridotta funzionalità dei reni sono più a rischio di ospedalizzazione, progressione verso la dialisi e mortalità precoce

Rochester (U.S.A.) – L'amiloidosi AL è la forma più comune di amiloidosi, e anche quella con la prognosi peggiore. In questa variante della malattia, i depositi di amiloide sono formati da frammenti di anticorpi, le catene leggere, prodotti da cellule che si trovano nel midollo osseo, chiamate plasmacellule. L'amiloidosi AL colpisce più spesso il cuore (nel 75% dei pazienti), i reni (nel 65% dei casi), il fegato (20%) e i nervi che trasmettono la sensibilità dai piedi e dalle mani e quelli che regolano la pressione arteriosa (20%).

La compromissione della funzionalità renale, molto frequente in questa patologia, è in grado di predire un più alto tasso di ospedalizzazione, di progressione verso la dialisi e di mortalità precoce nei pazienti che ricevono un trapianto autologo di cellule staminali. A evidenziarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Bone Marrow Transplantation da un'équipe di ematologi e nefrologi della Mayo Clinic di Rochester, nel Minnesota.

Le terapie impiegate nell'amiloidosi AL si basano su combinazioni di farmaci che hanno lo scopo di uccidere le plasmacellule che producono le catene leggere tossiche, e sono simili a quelle usate dagli ematologi per curare un'altra malattia delle plasmacellule, il mieloma multiplo. Tuttavia, i pazienti con amiloidosi non hanno solo una malattia del midollo osseo, ma anche un danno in diversi organi, che li rende particolarmente delicati. In alcuni casi attentamente selezionati è possibile eseguire l'autotrapianto di cellule staminali, una procedura in cui la terapia elimina tutte le cellule del midollo osseo, che viene poi ricostituito grazie alle cellule staminali del paziente, prelevate in precedenza.

I medici della Mayo Clinic, nel loro studio, hanno esaminato retrospettivamente l'impatto dell'insufficienza renale sugli esiti dei pazienti affetti da amiloidosi AL che hanno affrontato un trapianto autologo di cellule staminali. I pazienti sono stati raggruppati in due coorti, a seconda della funzione renale, misurata con l'eGFR – Estimated Glomerular Filtration Rate, una stima della velocità di filtrazione glomerulare.

Secondo questo calcolo, i 568 pazienti con una funzione renale normale (eGFR ≥ 45 ml/min) sono stati inseriti nella coorte NRF (normal renal function), mentre gli 87 con funzionalità renale compromessa (eGFR < 45 ml/min) sono stati inclusi nel gruppo IRF (impaired renal function). I pazienti IRF presentavano uno stadio di malattia più elevato: il 100% di loro aveva uno stadio superiore al primo (dei cinque utilizzati per classificare la malattia renale cronica), contro il 37% degli NFR. Inoltre la maggior parte di loro – il 70%, contro il 21% degli NRF – riceveva regimi di condizionamento con il farmaco chemioterapico melfalan a un dosaggio inferiore a 200 mg/m².

Quarantaquattro pazienti (il 6,7%) hanno richiesto la dialisi entro 100 giorni dal trapianto, e lo stadio renale ha dimostrato di essere predittivo rispetto a questa necessità, che ha riguardato il 3% dei pazienti in stadio I, il 10% di quelli in stadio II e il 22% di quelli in stadio III. Prevedibilmente, un maggior numero di pazienti con funzionalità renale compromessa ha dovuto ricorrere alla dialisi entro 100 giorni dal trapianto (il 16% contro il 6% della coorte NRF).

I pazienti IRF, inoltre, avevano più probabilità di essere ricoverati in ospedale (l'80% contro il 70% degli NRF). Infine, la mortalità a 100 giorni è stata più alta nella coorte IRF (il 14% rispetto al 5% del gruppo NRF), mentre la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione sono risultate in media simili tra le due coorti.

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